lunedì 18 gennaio 2010

Ancora (stra)parla?

E’ certamente capitato a qualcuno (molto coraggioso) nei giorni scorsi di imbattersi in una delle più esilaranti interviste di sempre.



Di chi stiamo parlando?



Di Tremonti ovviamente, il nostro caro, carissimo (ma veramente carissimo..), Ministro dell’Economia e delle Finanze.


Vi proponiamo una chiave di lettura molto interessante, godetevi l’articolo di Michele Boldrin su nFA, questo è solo il preludio a qualcosa che verrà presto.

lunedì 11 gennaio 2010

Codacons vs Istituti Bancari

Il 2010 si apre con un’importante novità: la prima class action italiana contro istituti bancari.


Ma cosa è la class action?


E' “L’azione collettiva risarcitoria a tutela dei consumatori” (art. 2, comma 445, Legge Finanziaria 2008). Anche se la legge che ha introdotto tale strumento è relativa al 2008, solo nell’anno appena iniziato è entrata in vigore (siamo in Italia!).

Pioniere della prima class action italiana è il Codacons, che ha notificato due citazioni, una presso il tribunale di Torino e l'altro presso il tribunale di Roma, contro i due maggiori colossi bancari italiani: Unicredit e Intesa San Paolo.


L’azione poggia sulle rilevazioni dell'Antitrust secondo le quali le banche avrebbero compensato l'eliminazione della 'commissione di massimo scoperto' introducendo nuove e più costose commissioni a carico degli utenti, anche 15 volte più care.


Con questo comunicato il presidente di Codacons, Carlo Rienzi, presenta l'azione legale contro i due istituti bancari.


Il fatto che le banche avessero sostituito la commissione di massimo scoperto con altre commissioni più costose non è una novità. Molte associazioni di consumatori avevano denunciato il fatto già da tempo e l’Antitrust lo ha confermato con un’accurata indagine.

Ora finalmente si ha anche in Italia uno strumento che permette un’azione collettiva contro queste “furbizie” da parte degli istituti di credito a danno dei propri clienti.


Ma sarà efficace?


Il presidente del Codacons sottolinea questo aspetto nell’ultima parte del comunicato quando dice:


“La mancanza di forti sanzioni come avviene in Usa rende questo strumento poco incisivo ed efficace”


Inoltre dato che si tratta di un procedimento processuale dove c’è un giudice che deve emettere una sentenza, questa può arrivare dopo anni data la lentezza del sistema giudiziario Italiano.

E ovviamente in caso di esito positivo per il Codacons, le banche possono sempre fare ricorso allungando ulteriormente i tempi. Si entrerebbe così nel contorto meccanismo della giustizia italiana che, come sempre, non garantisce una definitiva conclusione nel breve periodo.


Il presidente Rienzi sostiene comunque che l’obiettivo principale della class action è mirato a “disincentivare i colossi economici a fare scorrettezze gravi contro i consumatori”.

Su questo punto sono d’accordo con lui: nel caso in cui la sentenza fosse a favore dell’associazione di consumatori, farà storia e farà capire alle banche che non sono intoccabili e che se sbagliano devono pagare, come è giusto che sia.

Proprio per questo motivo penso che non sia un caso che si siano scelte le due banche italiane più importanti.



Cosimo Schiavano

Coerenza innanzitutto...

“La situazione va meglio ma non è buona come intendono i mercati, […], i mercati stanno meglio, ma sono ancora fragili”


Mario Draghi 9 gennaio 2010


Il Presidente di BankItalia, nonché Presidente del Financial Stability Board, ha così valutato l’attuale situazione del sistema bancario internazionale. Ha successivamente aggiunto delle considerazioni sull’operato di diverse grandi banche internazionali, riferendosi in particolare ai sistemi di remunerazione offerti ai management:


“Gli stipendi dei manager dovrebbero essere commisurati ai rischi che si prendono”


Anche qui la sua valutazione centra uno dei punti fondamentali da tenere in considerazione per garantire una ripresa sostenibile per il sistema finanziario. Tuttavia, come abbiamo più volte sostenuto in questo blog, stabilire dei principi base per commisurare gli stipendi ai rischi non è l’unico punto su cui fondare la politica di vigilanza del Financial Stability Forum, è necessario anche attivarsi affinché tutti gli istituti finanziari adottino delle politiche di gestione del capitale mirate a garantire il rispetto dei principi base di Basilea II, nella fattispecie i requisiti [stringenti] inerenti il capitale di vigilanza. Se, malauguratamente, dovessero ripresentarsi delle falle nel sistema finanziario internazionale il mercato non dovrebbe essere nelle condizioni di soffrire nuovamente una crisi di liquidità come nel 2008. Il reale obiettivo da centrare per un organo sovranazionale come il FSF deve essere quello di garantire la solidità del sistema finanziario, non il volere populista; giusto per intenderci


“If the guy has a broken nose, you don’t put a band-aid on his butt” [1].


[1] Michele Boldrin - in Brian DeLong vs Michele Boldrin Debate on Stimulus SmackDown minuto 38.

sabato 9 gennaio 2010

Lettera al Presidente della Repubblica

Illustrissimo Presidente Napolitano,

sono uno studente, che come molti altri, si appresta a conseguire quello che al momento presumo sia il mio ultimo titolo accademico: la Laurea Magistrale.

A dispetto dei suoi inviti a rimanere sto preparando le valigie per migrare all'estero. Guardo con preoccupazione al mio futuro in Italia, perché la situazione qui è molto peggiore di quanto descritto dalla stampa nostrana.

Ci sono molte cose che mi preoccupano nel mio futuro in Italia, ad esempio il debito pubblico in costante crescita (senza che nessuno si preoccupi di fare o semplicemente di proporre una riforma degna di tal nome), l'enigma della pensione (dovrò costruirmela, non si capisce come, in forma privata), poiché fra 40 anni per noi non ci sarà una pensione sufficiente a supportare i nostri bisogni (come d'altronde è già in molti paesi), etc. Ma anche se queste cose mi preoccupano, non sono tali da portarmi alla migrazione; e poi c'è anche tempo per porre rimedio.
La mia maggiore preoccupazione sta nelle opportunità che mi riserva il futuro: siamo in un paese che non vuole crescere o cambiare, che continua ad utilizzare sistemi vecchi, pensando che siano i migliori e non sfruttano le possibilità che possono offrire le menti fresche.
Non sto parlando esclusivamente dei talenti italiani, i ricercatori che vincono borse di studio gigantesche per portare avanti i loro progetti in altri paesi, ma anche di quei cervelli più modesti, come il mio, che possono contribuire in maniera dignitosa ad una buona crescita del paese, ma che costantemente è ignorato.

In Italia c'è una forte resistenza al cambiamento e di sicuro è condizionata dalla mentalità chiusa al momento predominante, normalmente dovrebbe essere compito dello Stato, data la sua massiccia presenza, condizionare e/o incentivare delle azioni "illuminate", cercando di convincere ad investire nel futuro. Ma, come spesso accade, gli esponenti politici, invece che attuare politiche in questa direzione, si divertono in un circolo vizioso e deleterio dove il governo comincia con un "Gli italiani lo fanno meglio di..." o "In Italia è meglio di...", seguentemente ribattuto dall'opposizione che afferma ovviamente il contrario, "Gli italiani sono peggiori nel..." e "L'Italia è peggio di..." e viceversa.

Nel Suo messaggio di fine anno afferma che

"[...] non possiamo correre il rischio che i giovani si scoraggino, non vedano la possibilità di realizzarsi, di avere un'occupazione degna nel loro, nel nostro paese"

Mi dispiace Presidente, è un messaggio che arriva troppo tardi: penso che in Italia, per il corso di studi che ho scelto, non ci sarà mai uno sbocco futuro in cui mi sia concesso di realizzarmi, se non in una qualche impresa internazionale con sede nel nostro Paese; ma se avrò la fortuna di prendere quel posto, almeno ad altre cinque persone come me non vi sarà concesso la realizzazione. Qui è più importante il basso costo e l'evasione piuttosto che l'innovazione ed il cambiamento.

La saluto con un ultima provocazione: la parte che mi è piaciuta di più del Suo discorso, è quella dove si è immediatamente corretto, ossia quando ha affermato che l'Italia è il nostro paese: Sì, l'Italia è il nostro paese, voi lo avete semplicemente in prestito da noi, ma, a questo punto, preferisco lasciarvelo e sperare di ereditarne un altro da chi lo potrebbe gestire meglio di come avete fatto finora.

Distinti Saluti

Un piccolo cervello (pronto alla fuga)

giovedì 7 gennaio 2010

Provocazioni senza senso di Brunetta

L’idea di creare un blog ispirato a Von Hayek era e rimane legata al confronto con i lettori su argomenti di puro stampo economico, senza tralasciare ogni aspetto di tipo macroeconomico legato alle operazioni e alle manovre di politica. Tuttavia dinanzi ad episodi strani, o quantomeno stravaganti della politica italiana, in particolare di coloro che la fanno (i cosiddetti politici), non possiamo fare altro che allontanarci un istante dal nostro intento e affrontare argomenti di indubbio interesse, se non altro per lo scalpore e l’elevato tasso di anormalità che li contraddistinguono.

L’episodio di cui parliamo oggi riguarda il Ministro per la Pubblica Amministrazione e l’Innovazione Renato Brunetta, in particolare il riferimento è ad una battuta inerente la Costituzione della Repubblica Italiana pronunciata nei giorni scorsi:

“Stabilire che l’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro non significa assolutamente nulla… la parte valoriale della Costituzione ignora temi e concetti fondamentali, come quelli del mercato, della concorrenza e del merito.

Il tono saccente e arrogante lo potete immaginare, ma non vogliamo parlare di questo, preferiamo parafrasare le parole di Brunetta e confrontarle con lo spirito e l’intento che hanno ispirato la stesura dell’articolo 1 e della parte cosiddetta valoriale della Costituzione.

Durante il periodo di stesura della Costituzione l’Assemblea Costituente della Repubblica Italiana fu chiamata a garantire in maniera equa la concretizzazione, in forma scritta, dei principi fondamentali e ispiratori della Repubblica Democratica Italiana. Nel caso di specie, il primo articolo sancisce innanzitutto il risultato del referendum del 2 giugno 1946, “L’Italia è una Repubblica…”, e garantisce ufficialmente alla popolazione lo status di Democrazia, “…Democratica…” (dal greco Demos: popolo e Cratos: potere, ossia governo del popolo), ovvero di Repubblica nella quale i cittadini sono messi nelle condizioni di esercitare la propria sovranità, per diritto e per dovere. Proseguendo l’articolo 1 recita:“…fondata sul lavoro…”, probabilmente il Ministro Brunetta non ha compreso questo punto, oppure lo ritiene superfluo, in ogni caso secondo lui “non significa assolutamente nulla”.

Partendo da questi presupposti, cerchiamo di mettere un po’ di ordine. L’inserimento dell’ultima parte fu proposto da Aldo Moro durante il periodo di stesura della Costituzione, egli sostenne ciò di seguito riportato:

“Questo il senso della disposizione: un impegno del nuovo Stato Italiano a immettere nell’organizzazione sociale, economica e politica del Paese quelle classi lavoratrici che furono a lungo estromesse dalla vita dello Stato e dall’organizzazione economica e sociale.”
(13 Marzo 1947) [1]

A queste parole si aggiunsero quelle di Giuseppe Saragat, il quale affermò che l’intento della Costituzione è basato sul nuovo concetto di società umana, non più fondato “sul diritto di proprietà e ricchezza, ma sull’attività produttiva di questa ricchezza”, inoltre aggiunse che la proprietà, nuda e cruda, può isolare, al contrario il lavoro può unire.

Probabilmente il Ministro Brunetta quando ha pronunciato quelle parole ha ignorato questi piccoli dettagli fondanti la Repubblica Democratica Italiana, oppure ha semplicemente voluto farsi notare dal pubblico elettore in un altro dei suoi classici show costellati da populismo, rigidità, e luoghi comuni. Quel che resta, al di là di ogni supposizione sulle sue intenzioni, è il sentimento di imbarazzo, unito a quel senso di smarrimento (lesivo ai fini della Democrazia) che frasi di quel tipo provocano nelle menti delle persone che solitamente non sono abituate a ragionare con il proprio cervello.



[1] Ernesto Maria Ruffini - Rassegna Stampa Personale
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